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Prima di comprendere quali siano le strategie migliori per studiare è indispensabile capire perché è fondamentale studiare. Quindi è indispensabile comprendere quale sia la motivazione che può spingerci a studiare. In realtà le motivazioni possono essere molte e di vario genere.

Ad esempio può essere una efficace motivazione la curiosità e il bisogno di conoscere e capire il mondo circostante. Possono essere motivazioni efficaci anche la volontà di avere un progetto professionale per rendersi autonomi economicamente e iniziare un vita da adulti indipendenti oppure il bisogno di essere apprezzati dai genitori e dai compagni e infine realizzare progetti a cui si tiene molto, come andare all’estero o ottenere successi in un ambito d’elezione.  

Nel mondo i ragazzi si approcciano allo studio per motivazioni molto eterogenee a seconda dalla cultura e dal Paese da cui provengono. Il film documentario “VADO A SCUOLA: IL GRANDE GIORNO”, del regista Pascal Plisson, narra le vicende di giovani studenti che frequentano la scuola in diversi continenti. Si può prendere visione di alcune parti accedendo ai link sottostanti.

VADO A SCUOLA 1        https://www.youtube.com/watch?v=OOqBE3y_Lug

VADO A SCUOLA 2        https://www.youtube.com/watch?v=EGnVXQGWECk

VADO A SCUOLA 3        https://www.youtube.com/watch?v=XIFxW88ocGA

VADO A SCUOLA 4        https://www.youtube.com/watch?v=wpiRetf59-g

Ecco un brano che propone una riflessione su parecchi buoni motivi per cui è necessario studiare. 

Quando chiedo ai ragazzi di quindici/sedici anni “Perché studiate?” quasi tutti rispondono “Per conseguire un titolo di studio che mi permetta di trovare un buon lavoro”. “Allora se foste miliardari non studiereste?” obietto io. Loro rimangono un po’ perplessi poi ammettono che anche i miliardari debbono studiare. “Perché?” insisto “I miliardari non hanno bisogno di trovare lavoro!”. 

I ragazzi mi danno risposte incerte e confuse dalle quali tuttavia si desume che in una società di tipo avanzato chi non studia è tagliato fuori da qualunque attività. Infatti un improbabile miliardario analfabeta non potrebbe fare quasi nulla da solo: né viaggiare in treno e in aereo (come farebbe a leggere gli orari e le destinazioni?), né guidare l’automobile (non avrebbe potuto prendere la patente), né tantomeno amministrare i suoi capitali (che è notoriamente un lavoro molto complesso e impegnativo). Avrebbe bisogno, semmai, di un aiutante costantemente al proprio fianco. Ma anche se avesse imparato a “leggere, scrivere e far di conto” sarebbe ugualmente escluso dalla maggior parte delle attività e perfino dalle conversazioni nei salotti perché non coglierebbe nessuno dei riferimenti culturali che sono entrati nel linguaggio comune. Non capirebbe frasi del tipo “È stata la sua Waterloo!” oppure “Quel tizio è un azzeccagarbugli”. Non saprebbe a chi ci si riferisce con le espressioni “l’eroe dei due mondi” o “il gobbetto di Recanati”. Si chiederebbe perché mai una donna mastodontica possa essere soprannominata Moby Dick o perché quando si arriva a New York dall’Italia si debba mettere indietro l’orologio di sei ore. 

Non avrebbe idea di che cosa siano i circuiti integrati, gli imperativi categorici di Kant e nemmeno il teorema di Pitagora. Malgrado la sua ricchezza, sarebbe un emarginato e, alla fine, un poveraccio. Dobbiamo concludere quindi che tutti sono costretti a studiare a meno che non vogliano vivere come eremiti. 

Ma non basta studiare durante gli anni della carriera scolastica: bisogna continuare ad apprendere per tutta la vita. Una persona che, essendosi diplomata o laureata venticinque anni fa, non avesse imparato più nulla, sarebbe un “sopravvissuto” sia sul piano professionale che su quello sociale e verrebbe facilmente scavalcato da chi ha saputo aggiornarsi. Inoltre, le persone che sanno molte cose hanno due notevoli vantaggi rispetto a chi sa poco: 

a) non si trovano a disagio in nessun ambiente; sono normalmente in grado di capire ciò di cui si sta parlando; sanno intervenire con osservazioni pertinenti; 

b) risultano gradite ad amici e colleghi perché hanno sempre qualcosa da dare; la loro compagnia è stimolante; con loro annoiarsi è difficile. 

Infine (particolare tutt’altro che trascurabile, anche se ora il problema vi appare remoto) tenere in esercizio il cervello serve a rallentare il processo di degenerazione nella vecchiaia. “A invecchiare si deve imparare da giovani”, dicono i medici. “Un cervello ricco di stimoli mette in moto una serie di meccanismi di rinforzo: attività genera attività e la vitalità psicofisica tende a rendere molto meno rapidi i processi di invecchiamento”. Lo studio, quindi, non è solo necessario alla nostra socializzazione, ma fa anche bene al cervello! 

(Rosèlia Irti, “Come sopravvivere a scuola”, Sansoni)